Perchè Pasquino

Opera è un piccolo Comune a Sud di Milano. Molto piccolo, secondo l’ISTAT (demo.istat.it) vi abitano (o vi abitavano al 1 gennaio 2020) 14100 persone (erano 13772 al 1 gennaio 2015): 6729 maschi e 7371 femmine. Insomma un paesucolo perfettamente in media con il resto della popolazione italiana (i più svegli avranno notato che il rapporto tra maschi è femmine è 48% vs. 52%, come da anni si registra in Italia). Di questi 14100 abitanti, 3 hanno più di 100 anni, 99 hanno 0 anni. I minorenni sono il 16,4%, gli ultra-65enni il 26,1%. Tra tutti questi ci sono anche 1159 cittadini stranieri (il 57% ha meno di 40 anni – se calcoliamo i potenzialmente attivi. 25-64enni, significa che circa il 64% degli stranieri residenti è attivo e quindi contribuisce alla pensione dl 26,1% di anziani pensionati). L’indice di dipendenza strutturale (quanti individui ci sono in età non attiva ogni 100  in età attiva), che fornisce indirettamente una misura della sostenibilità della struttura di una popolazione, è 75% – un indice equilibrato dovrebbe essere 50% o meno.

Probabilmente quasi nessuno ne ha mai sentito parlare, come migliaia di altri minuscoli paesi. Se è noto per qualcosa è per la presenza di un carcere di massima sicurezza, anzi del più grande dei 225 istituti di pena in Italia. Per anni l’associazione con il carcere è andata un po’ stretta all’operese medio (essere conosciuti solo per l’esistenza di una galera, in effetti…) che solitamente ti ricorda che “in realtà” il cosiddetto Carcere di Opera (ufficialmente: Casa Circondariale Milano Opera) sorge sul suolo di Milano. Gira voce che il Comune di Opera abbia ceduto l’area su cui è sorto il carcere al Comune di Milano in cambio di una serie di opere pubbliche che non vennero poi realizzate o realizzate solo parzialmente. Non so se sia vero ma ne traiamo la prima fondamentale considerazione: l’acume scarseggia nel Sud Milano.

Il disonore di essere associati ad un penitenziario (per quanto blasonato, alcuni dei migliori detenuti ci sono passati: Renato Vallanzasca, Mario Moretti, … ma anche alcuni notori pezzi di merda come Vincenzo Vinciguerra, Marco Furlan, Totò Riina, Pietro Maso e Giancarlo Galan) ha ingenerato nell’operese medio il desiderio di sacrosanta rivalsa: “noi siamo persone perbene”.

Un esempio di questo anelito è stata la cosiddetta “rivolta contro i Rom”, in realtà una autentica gazzarra inscenata da alcuni militanti locali della Lega Nord e del PDL con l’ausilio di un po’ di fascistelli di varie provenienze contro la decisione del Comune di Milano di trasferire provvisoriamente un campo nomadi (tutti con permesso di soggiorno). Quella che ufficialmente (cfr. http://tinyurl.com/cmwj485) è stata definita “Epica rivolta popolare contro il campo nomadi” in realtà è stata una protesta che per giorni ha visto, nell’ordine: l’incendio delle tende della Protezione Civile predisposte per accogliere i nomadi, un bel po’ di giorni di presidio con una baracca adibita a spaccio (chiamata “ROM-PI BAR”, il che mostra il livello di sense of humor) e la frequentazione di alcuni bei ceffi locali (a suo tempo ne indicherò i più “rappresentativi”) che “epicamente” gridavano ai bambini Rom che salivano sul pulmino per la scuola “La prossima volta bruciamo anche voi”.

Ora, io di nomadi me ne intendo poco ma un po’ di “rivolte” e non ne ho mai vista una che godesse della protezione dei carabinieri che per giorni hanno stazionato a sorveglianza del cosiddetto presidio senza mai fare un gesto a tutela della cosiddetta legalità: il campo nomadi era legale, l’accordo tra le amministrazioni comunali di Opera e Milano altrettanto legale. Lo spaccio di bevande senza scontrino o presidio sanitario invece mi suona un po’ contraddittorio alle norme ma si sa… col bottegaio si chiude sempre un occhio.

End of the story. Per nessuna altra ragione un minuscolo paesello come Opera sarebbe degno di più di due righe sulle cronache locali. Quindi, perché parlarne?

Bella domanda. Io mi trovo ad Opera per ragioni famigliari. Ci dormo più che altro e ci portavo a scuola le figlie (sono un “padre di famiglia”, quella categoria di cui di solito i cialtroni di ogni risma che siedono su qualche scranno pubblico invocano come se ne fossero i rappresentanti). Non mi ha mai fatto una bella impressione. Il paese è piccolo, non ha nemmeno una piazza centrale (come tutti i paesi degni di questo nome). Ha una viabilità che solo una lunga teoria di assessori in acido lisergico ha potuto immaginare, una toponomastica che sfiora il ridicolo (abbiamo una “Via Berlinguer, Politico” ma anche una “Via Mazzini, Politico”). Non ha bellezze architettoniche (salvo l’unica: la graziosa Abazia Mirasole che però è un po’ malandata), né un cifra stilistica. Vi si costruisce molto ma nonostante l’attivismo dei costruttori e del Comune (nel rilasciare licenze), le case restano vuote. La cosa sorprendente è che i futuri acquirenti – probabilmente tutti ingrati e comunisti – non vogliono comprare appartamenti sullo svincolo della provinciale. Solo degli sporchi rossi possono criticare la meravigliosa musica di auto e tir che sfrecciano a 16 metri dal proprio balcone…

Eppure pare che in Opera serpeggi il dubbio orgoglio di essere “operesi” (…operati? operoni? opperlamiseriadichitestrammurt?). A me il campanilismo suona sempre ottuso talvolta e pericoloso sempre. Non comprendo il campanilismo di chi vive a Milano, Roma, Napoli o New York, figuriamoci quello di chi vive ad Opera.

Osservando meglio questo mazzetto di edifici posto così perfettamente a sud di Milano che sembra un tappo prima che si allarghi la piana pavese, però mi sono reso conto che è un microcosmo interessante: una media perfetta di molti vizi e pochissime virtù. L’esempio del ventre molle di una popolazione. Ma anche il posto terribile dove talvolta vivono gentili creature (parafrasando Brecht).

Ecco perché mi va di raccontarne…

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