Sulla canna del fucile

Riflessioni sulla violenza in un piccolo paesucolo

La violenza è politica concentrata” (autore noto ma non divulgabile che parafrasa Marx)

Se c’è un elemento che mette d’accordo ogni partito e movimento politico odierno è il rifiuto della violenza. La violenza è considerata intrinsecamente appartenente a categorie di persone a seconda dei casi definite terroristi, eversori, criminali, fascisti

Questa equiparazione, a esempio, del fascismo alla violenza tout court è forse una delle più gravi e sistematiche falsificazioni della storia. E per due ragioni. La prima: la violenza fascista non fu mai generica (ma specificamente antisocialista, antisindacale e anticomunista). Le cosiddette “squadracce” impiegavano il loro tempo ad aggredire contadini, sindacalisti, cooperative e altre persone solitamente isolate ed inermi. La perizia di tali carogne era però lacunosa. Un esempio: a Firenze, nel febbraio del 1921, i fascisti locali spararono alla testa del sindacalista Spartaco Lavagnini. Il buon gusto e l’onore a cui si richiamano anche alcuni sorci locali qui ad Opera, si manifestò nel mettere una sigaretta accesa in bocca al cadavere (lo dico a quel signore che gira con le magliette col fascio littorio, per citarne uno: avere come mito fondativo delle carogne e dei vigliacchi la dice lunga). Quando il giorno dopo, convinti di essere impuniti, entrarono senza copertura dei carabinieri nel quartiere popolare di San Frediano, gli abitanti li accolsero a fucilate e dovettero ripiegare. Uno di loro fu poi picchiato a morte e gettato in Arno (giusto per chiarire)

La seconda ragione per cui fascismo = violenza tout court è una falsificazione, è il fatto che il rapporto del fascismo con la violenza fu sempre ambiguo. Mussolini usò apertamente i manganelli e l’olio di ricino, salvo smarcarsene un giorno sì e uno no. Arrivò perfino a far arrestare alcuni dei più sanguinari dei suoi capetti locali. Per Mussolini la violenza aveva due funzioni: rispondere alla “violenza rossa” (grazie al finanziamento degli agrari e degli industriali) e terrorizzare i “bravi cittadini perbene” che così avrebbero accettato e perfino richiesto legge e ordine. E in effetti Mussolini andò al governo grazie ai voti dei liberali e dei popolari (antesignani dei democristiani) e l’astensione di parte dei socialisti, grazie alla promessa di ristabilire l’ordine (lui che era a capo del movimento che l’ordine lo violava sistematicamente). Perfino Benedetto Croce (il grande trombone che ci magnificano a scuola) lo sostenne entusiasticamente.

La mistificazione storica ha un padre, per quanto nobile: Giacomo Matteotti, che compilò scrupolosamente un elenco dei crimini del fascismo. A differenza però dei suoi epigoni, a Matteotti era chiarissimo che mai il governo liberale avrebbe difeso i contadini e le case del popolo. E per quanto non coltivasse una prospettiva rivoluzionaria, distinse sempre tra la violenza di squadre organizzate, pagate dagli agrari e difese dai carabinieri, e le occupazioni dei campi dei contadini del suo Polesine, o delle fabbriche da parte degli operai.

E’ il segno della violenza che la definisce, non il suo impiego, che nel corso della storia è stata usata in una miriade di esperienze di sinistra: i partigiani, la resistenza del Maquis, la debole ma pervasiva resistenza antinazista in Germania, le Brigate Internazionali in Spagna, le colonne castriste, la guerriglia tupamara in Uruguay, la resistenza argentina o cilena. E certo, anche i socialisti e i comunisti tra il 1918 e il 1923 (occupazioni di terre, espropri, botte ai mezzadri crumiri, ecc.)

Certo, la querula maestrina progressista e la lo sfiatato smidollato democratico, oppongono a queste evidenze della Storia, un “differente contesto”. Sento già una voce gracchiante che mi dice “Ma quelli erano regimi dittatoriali, oggi c’è la democrazia”. C’è addirittura chi si spinge a dare del “fascista” a chi non abbia remore a promettere un paio di ceffoni. Uno è venuto su questo blog (io ospito tutti anche se molti li disprezzo) ad affibbiarmi l’epiteto infamante. Non distinguendo, il povero analfabeta, tra la violenza fascista (ambigua, diretta contro i proletari e socialisti, contro le case del popolo, contro gli inermi e i disarmati, difesa da questure e governi) e la violenza come mezzo di lotta.

Un mezzo di lotta che, no, care le mie maestrine e cari i miei analfabeti progressisti, è sempre stato appannaggio della sinistra anche e soprattutto in regimi “democratici”.

How lessons from the Black Panthers could change the food movement | Grist
Le Black Panthers sulle scale del Parlamento della California

Prendiamo il caso delle Black Panthers, il partito dei neri, il cui nome esteso era “Black Panthers Party for Self Defense”, cioè Partito delle Pantere Nere per l’autodifesa, che nei “democraticissimi Stati Uniti” (dove si vota, dove c’è formale libertà di parola, dove i neri vengono uccisi dalla polizia in un rapporto di 10 a 1 rispetto ai bianchi) giravano con le armi in pugno ed entrarono nel Parlamento della California. L’obiettivo era farsi vedere tra il pubblico con i fucili a monito dei deputati, ma per errore entrarono nella sala dell’assemblea. Come si vede, non è prerogativa dei bianchi razzisti di Trump entrare in armi in Parlamento. D’altro canto l’emendamento che tutela l’uso delle armi è giustificatao, in USA, con la considerazione che un popolo in armi non potrà essere mai oppresso.

Qui, nella modesta Italia e nella postribolare Opera (dove si vende la propria dignità e il proprio passato per un po’ di pubblicità al proprio negozio, ogni riferimento a persone e fatti concreti non è mai casuale), le starnazzanti oche del centro-sinistra, inorridiscono se uno propone di manifestare. L’encomiabile Cavallone, responsabile della peggiore debacle elettorale della sinistra operese (ma i record sono fatti per essere battuti), ha risposto quasi allarmato alla modesta proposta di un presidio. I locali eredi del partito di Bordiga, Terracini e Gramsci, al massimo espongono due bandiere stinte quando Fusco e la sua banda di tarantolati montano il gazebo.

Che orrore, la violenza. Eppure (grassetto nostro):

Ogni comunista deve comprendere questa verità: Il potere politico nasce dalla canna del fucile.” – Mao Tse Tung

Riteniamo che la Rivoluzione cubana abbia portato tre contributi fondamentali alla meccanica dei movimenti rivoluzionari americani, i seguenti: I) Le forze popolari possono vincere una guerra contro l’esercito. II) Non sempre si deve aspettare che si producano tutte le condizioni favorevoli alla rivoluzione; il focolaio insurrezionale può crearle. III) Nell’America sottosviluppata, il terreno della lotta armata deve essere fondamentalmente la campagna.” – Ernesto Che Guevara

Ma questa lotta , indirettamente sia pure, era connessa all’altra lotta, alla superiore lotta fra proletari e capitalisti : la piccola e media borghesia è infatti la barriera di una umanità corrotta, dissoluta, putrescente con cui il capitalismo difende il suo potere economico e politico, umanità servile, abietta, umanità di sicari e di lacchè , divenuta oggi la serva padrona; espellerla dal campo sociale , come si espelle una volata di locuste da un campo semidistrutto, col ferro e col fuoco, significa alleggerire l’apparato nazionale di produzione e di scambio da una bardatura che lo soffoca e gli impedisce di funzionare, significa purificare l’ambiente sociale e trovarsi contro l’avversario specifico: la classe dei capitalisti proprietari dei mezzi di produzione e di scambio” – Antonio Gramsci

Insomma, c’è un bel po’ di violenza a sinistra. Ma, che mi risulti, mai è stata difesa dai carabinieri, mai è stata esercitata sistematicamente contro i lavoratori e i contadini (caso a parte sono i crumiri, ad esempio) ma soprattutto mai è stata esercitata per garantire ad agrari e industriali di perpetuare il proprio controllo e dominio. Se non vedete la differenza tra forme di violenza vuol dire due cose.

La prima. Che lasciate che la violenza la eserciti qualcun altro. La maestrina potrà scaldarsi per il ghisa operese che si fotografa con l’immigrato ingabbiato, ma non contesta che il pizzardone locale giri con la pistola e la usi se necessario secondo… ciò che il comando dei pizzardoni stabilisce. La maestrina che gorgheggia ricordando il povero Gino Strada non sa che lui per gli uomini in divisa ed armati provava un disprezzo integrale. Il rifiuto di impiegare la violenza, a meno che tu non faccia Martin Luther King, significa giustificare l’esercito italiano dispiegato in mezzo mondo al seguito del fratello maggiore: la banda di assassini degli Stati Uniti.

La seconda è che non capite che la violenza è “politica concentrata”. Mi sono già dilungato ma rimando il lettore con sale in zucca agli scritti di Sun Tzu (qui il testo L’arte della Guerra), di Machiavelli (qui il testo de Il Principe), di Marighela (Piccolo Manuale della Guerriglia Urbana) per quelle che un tempo si definivano “le basi”.

Qui mi limito ad una considerazione: la violenza concentra in poco tempo e in poche persone l’essenza della politica, che è la lotta per il potere (sì, per quello dopotutto si fa, anche col voto) politico.

E prendiamo un caso concreto: il nostro villaggetto. Dove, ad un certo punto, un bottegaio locale (in regime di monopolio e ben piazzato al Centro Commerciale della Coop che tanto esecra), editore di un foglietto (l’Operese) il cui principale merito era la fantasia con cui veniva violentata la grammatica, uno senza cultura, senza studi e senza alcuna capacità amministrativa (forse la logistica di qualche salamella per le sagre paesane del suo partito), fu – suo malgrado – considerato a capo di un atto di violenza.

Certo, sto parlando della gazzarra del capo rom. Quando Fusco, dopo la sua concione in Consiglio Comunale, si butta in strada scopre con costernazione che la folla è tanta, le facce non tutte note. Il resto è storia. Le tende bruciate, gli insulti ai bambini rom che salgono sui pulmini, i petardi tirati dentro il campo durante la notte, alcune carogne che si vantano di avervi partecipato (i più fessi, perché quelli svegli venuti da Milano non sono mai stai identificati), le manifestazioni dove anche un paio di esponenti della Protezione Civile (vero, caro il nostro Maderna?) inneggiavano al liberatore locale. Il tutto sotto lo sguardo amichevole dei carabinieri che mai han fatto mistero delle loro simpatie.

Ecco. Un ometto abbastanza ridicolo e con nulle risorse intellettuali, culturali e professionali (manco politiche, in oltre 30 anni di militanza e quasi 20 di consiglio comunale nemmeno uno straccio di seggio regionale gli tirano dietro) è riuscito a ribaltare ogni previsione elettorale vincendo in un “comune rosso” (nello stesso giorno, il PD prese una valanga di voti alle elezioni politiche a Opera) con un singolo atto di violenza.

Contro poche e miserabili tende destinate a poveracci.

Con la copertura delle forze dell’ordine.

Spalleggiato da “una parte, la peggiore, la più vile, la più inutile, la più parassitaria: la piccola e media borghesia, la borghesia dei bottegai, dei piccoli proprietari industriali e agricoli, commercianti in città usurai nelle campagne”, degli impiegatucci, del sottoproletario, del proletario che siccome mangia allo stesso bancone del padrone pensa essere “bianco” come lui, mentre per il padrone resterà sempre un negro.

E qui alla sinistra delle maestrine e dei professorini tremano le gambe a pronunciare la parola “presidio” e da più parti si invoca “Moderiamo i toni”.

Unica consolazione: allora fu tragedia, oggi farsa. Fusco non è Farinacci, Pozzoli non è Balbo, e a sinistra non si intravvede manco un moderato come Matteotti. Speriamo che nel cercare un candidato sindaco donna non individuino una Kuliscioff.

Ogni tanto metto due note più generali. Perché se no uno crede che tutto sia novità quando in realtà gli umani si comportano sempre alla stessa maniera.
Così, dopotutto è estate. A settembre alcuni dei "rettili umani" si sfideranno a tenzone per lo scranno comunale. E se nel resto del mondo, dato che ha perso il socialismo, prevale la barbarie, qui prevarrà il ridicolo e la cialtroneria. Ancora una volta il buco di culo del sud operese si udranno scoregge, ma i protagonisti sosterranno convinti di aver condotto una battaglia. 

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